Infinitamente amici.

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Non sia male oscuro,
che da te mi terrà lontano,
non sarà l’eternità che fine
porra’ ad un amore nato per caso
da cucciolo in braccio a me,
e adesso tu insieme a me,
nella sofferenza, contro tutti,
a lottare per starti vicino.
Vinta la prima, adesso tu sai
padroncino mio, il mio amore per te.
Sul tuo letto io starò, nessuno potrà
avvicinarsi se non per cure a te,
perché capire un amore infinito
è solo per chi sa amare e rispettare.
Io tuo compagno di sempre,
solo io con te nella stanza
vigilero’ su te e sull’amore sincero,
di chi ha per te, nei tuoi ultimi giorni,
la mia coda scodinzolera’ a chi
veramente ti ama e come me
ti ha sempre amato, se figli, moglie,
e congiunti affini,  hanno dimostrato.
Io con te, anche dopo,
come da cucciolo, stretto a te
teneramente mi tenevi
abbracciati saremo
anche lì dove finalmente
infinitamente  per sempre staremo.

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Amò età non ha.

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Stringimi a te, stringimi forte
da sentir il battito bambino,
l’amore in te, che età non ha,
noi, eterni bambini dentro,
seppur fuori adulti già,
viviamo d’eterne forti emozioni,
le stesse che accesero in noi
dell’amor la prima scintilla,
luccicare sempre viva
nei tuoi occhi specchiarsi, io sento
nei miei che t’amano
e nei tuoi riflettono
un amore che mai avrà fine.
Oggi e ieri, tempi l’un dell’altro
non distanti per un amor
che età non conosce,
giovane e forte,
come mare e sole,
l’uno in esso a specchiarsi,
l’altro del suo calore scaldarsi
d’amore per l’eternità.

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Sazi d’amore

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Tienimi stretto,
amami papà mio,
non siamo soli,
io ho te, tu hai me,
abbiamo tutto l’amor del mondo
nei nostri cuori racchiuso,
di cui vivere.
Nessun sa, se di noi pietà non ha,
donarci un tozzo di pane,,
digiuni poter stare,
purché malvagità, cattiveria,
con indifferenza, lontano star,
a me basta ogni istante
sentir sempre, della tua mano
il calore sul mio muso,
sentir costantemente
il tuo amore e il tuo rispetto.
Da quando cucciolo m’adottasti
abbiamo condiviso fame e strada,
senza mangiare si può stare
è senza amore che si muore,
papà mio, se tu morissi
da solo non ti lascio,
insieme a te, in un abbraccio
ti seguirò per dolore.

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Non mi avrai

Non mi avrai

Catania  dicembre 2009 – Centro Oncologia Catanese

«Signora, perché ha richiesto una visita? Ha dolori al seno? Ad uno solo o ad entrambi i seni? Si è toccata qualcosa lei stessa, nel punto che le fa male? Mi scusi se le rivolgo queste domande prima di visitarla, ma per me è essenziale sapere in anteprima i sintomi riscontrati dalla paziente! In questo modo posso avere già un primo quadro anche del grado cognitivo e d’apprensione, oltre a capire se la paziente è in grado di monitorarsi da sola!» – esordì il Professore.
«Si spieghi meglio dottore! In che senso grado “d’apprensione e senso cognitivo”? Intende se da sola riesco a capire cosa precisamente ha il mio corpo e la paura d’affrontare un’eventuale operazione o peggio la chemioterapia? È ovvio che la paura e il timore di avere un brutto male appartiene a tutte noi donne! Inoltre ho una figlia e temo che possa essere genetico, avendo avuto mia nonna lo stesso male, anche se poi ha vissuto più di quanto lei stessa immaginasse, considerando che parliamo di oltre cinquant’anni fa!» – rispose la paziente.
«Certamente, ha compreso benissimo! In un soggetto ansioso e non preparato, il sistema neurologico potrebbe reagire in modo negativo e rendere difficile il lavoro della terapia, allungandone i tempi. Oltretutto mi ha anche indicato una familiarità. I geni passano dai genitori ai figli. Se si ha una forte familiarità per il cancro al seno, sarà bene eseguire prima di tutto un test genetico per determinare se vi è una predisposizione che potrebbe aumentare la probabilità di sviluppare una patologia al seno!» – ribadì il Professore.
«Quali sono più frequenti, quelli maligni o quelli benigni? Il carcinoma è benigno o maligno? Possono formarsi in entrambi i seni o in uno solo? Entro quando potremo avere il risultato sulla sua natura? La terapia quanto può durare e quali effetti collaterali apporterà al mio stile di vita?» – lo mitragliò di domande la paziente.
«Se le cellule crescono incontrollatamente possono formare delle masse chiamate tumori. I tumori sono di due tipi, benigni e maligni. I tumori benigni sono delle masse di cellule inattive e circoscritte e non costituiscono un cancro. I tumori maligni si diffondono e danneggiano altri tessuti! Quindi nel peggiore dei casi, è possibile che il male si formi in un punto e si propaghi in un altro, tuttavia avviene solo nelle forme maligne e più aggressive! Però non ci dobbiamo allarmare prima del tempo! Oltretutto non sappiamo ancora se effettivamente ci sia un problema! Prima facciamo tutti gli accertamenti procedurali, e poi vedremo! Tuttavia la sua ansia non è un buon segno! Come le dissi prima, può influire anche sulla formazione e trasformazione della massa tumorale, qualora lo sia e ci sia! Dev’essere serena ché tutto si risolverà nel migliore dei modi! Oggi la mortalità per il tumore al seno è precipitata di oltre il settanta percento!» – rispose il Professore sorridendole.
«Dottore, non sono un soggetto ansioso ma una che vuole sapere! Ne va della mia vita e io sola ne sono padrona anche se, ovviamente, avendo una famiglia, dovrò dire le cose come stanno, perché indubbiamente ne saranno coinvolti tutti, direttamente o indirettamente!» – rispose con tono un po’ stizzito.
«L’aspetto domani per l’ecografia! Prima sapremo con cosa abbiamo a che fare e prima potremo intervenire se necessario! Buona giornata signora e stia serena!» – si congedò il Professore.

Alcuni giorni dopo…

«Signora purtroppo il carcinoma è di ben 7 mm, evidenziato  nell’ecografia al seno, e ha dato esito positivo nell’esame istologico! È un carcinoma mammario allo stadio t4b, cioè è attaccato alla cute! La buona notizia è che non è maligno, però va aggredito subito con un ciclo ti radioterapia, per pulire tutto il tessuto mammario! Inoltre è circoscritto ad una sola mammella. Tuttavia, l’altra la terremo sotto osservazione per precauzione e lo farà anche lei da sola, come ha già fatto correndo per tempo da noi! Nell’insieme è stata anche fortunata!»
«Avrei dovuto fare l’ecografia già sei mesi fa e la saltai per alcuni impegni familiari!» – esordì con rammarico.
«Non tutti i mali vengono per nuocere; se l’avesse fatta sei/otto mesi fa, magari questo carcinoma sarebbe sfuggito perché troppo piccolo all’epoca e lei, facendo l’ecografia molto più avanti, si sarebbe ritrovata forse con un danno maggiore e irreversibile, perché i carcinomi, seppur benigni, se trascurati, talvolta possono secernere ormoni che alterano la salute ma anche, accrescendosi, distruggere i tessuti e le ossa oltre a compromettere il funzionamento di organi associati.» – la tranquillizzò il medico.
«Professore, la ringrazio per la dettagliata spiegazione, desidero sapere se ne uscirò viva da questa esperienza! Ho ancora due figli in età adolescenziale e sarebbe un forte trauma per loro se io non dovessi esserci più e soprattutto se dovessi spegnermi con molta sofferenza!» – rispose la paziente.
«Signora, lei per prima dev’essere ottimista e non pensare al peggio! La migliore medicina la produce il nostro organismo pensando in positivo! Non si abbatta! Abbiamo avuto una notizia cattiva a metà! È benigno; la operiamo, la puliamo per bene e non si vedranno cicatrici, anzi avrà nuovamente un seno sodo e leggermente più alto e non si noterà nulla! Non le metterò nessuna protesi perché, prima dei dieci anni, dobbiamo tenere tutto sotto controllo. Glielo sconsiglio! Fra una settimana la opereremo e lei potrà tornare a godersi i suoi figli, serenamente!» – la tranquillizzò il Professore.
«Grazie Professore, speriamo bene! Alla settimana prossima.»

Rientrata a casa, non sapeva come dare la notizia alla famiglia, né come preparare i ragazzi ad un inevitabile cambiamento dei ritmi e di tutto ciò che ne sarebbe conseguito, né prevedere la loro reazione ad una notizia cosi drammatica. Poi sarebbe stata la volta d’informare anche i suoi genitori e fratelli, e man mano gli amici. Decise di dire mezza verità, fino all’operazione, per non allarmarli troppo.

Una settimana dopo…

«E’ andato tutto bene, come prevedevo, non c’è stato bisogno nemmeno dello scavo ascellare e dell’asporto dei linfonodi! Siamo riusciti a prenderlo in tempo! Però dovrà sottoporsi a trenta sedute di radioterapia, per agire bene su tutto il tessuto antistante in entrambi i seni per precauzione!» – esclamò il Professore appena si accorse che si era svegliata dall’anestesia.
Attorniata dalla sua famiglia, la signora fece solo un’impercettibile smorfia e fissò i presenti esclamando:
«Avete sentito anche voi? State sereni che non è niente di preoccupante, passerà tutto! Prendiamola come una prova di nostro Signore, per vedere come riusciremo a gestirla! Sono vietate le reazioni negative e ho bisogno solo di serenità e solarità attorno a me! Giusto Professore? E’ stata l’asportazione di una cisti benigna e che non ha avuto conseguenze più rischiose e drammatiche?»
I figli che le stavano accanto, non erano del tutto convinti, però non commentarono, per non impensierire la loro mamma. La parola d’ordine era solo: allegria e serenità attorno a lei. Solo il marito prese in disparte il Professore, fuori dalla porta:
«Mi scusi Professore, prima che vada via, a me può dire tutto! Ho capito che comunque non sarà una passeggiata per mia moglie, come ha voluto far intendere, bensì cambierà lo stile di vita a lei e a noi tutti! Io da padre, avrò il compito di alleggerire ogni cosa a tutti e rimboccarmi le maniche dandomi da fare in cose che non ho mai fatto, né mai avrei pensato di fare, anche se il ruolo di genitore lo prevede! Ma non per casi cosi particolari come questo! La psicologia non è mai stato il mio forte, eppure adesso dovrò studiare qualche testo per capire come sostenere moralmente i ragazzi!» – esclamò quasi con un groppo in gola.
«Credo che sia lei ad aver più bisogno dello psicologo! I suoi figli sono in gamba, li ho visti in quei pochi minuti! Hanno capito tutto. Sono stati zitti ed hanno sorriso con battute per tenere allegra sua moglie e confortarla. Una piccola bugia silenziosa, anche se sono preoccupati come lei. Tuttavia sono e saranno forti anche per il loro papà ansioso e innamorato della loro mamma! Comunque stia tranquillo è andato tutto bene veramente! La radio sarà fatta solo in via precauzionale! È il protocollo da seguire! Si dovrà prendere anche una pillola che le potrebbe portare dei problemi provvisori, di nausea e stordimento! Purtroppo fa parte del protocollo anche questo per preservarla da cose peggiori! Parliamo sempre di un carcinoma mammario e occorre tenere sotto costante controllo tutto il tessuto circostante! Non sarà molto dura, ma nemmeno come una banale influenza, questo devo dirglielo! Lei comunque saprà essere un bravo marito, compagno e soprattutto padre, come lo è stato fino ad oggi! Adesso la saluto, la devo lasciare!»

I primi tempi furono davvero duri per tutti, quasi da far dubitare delle parole del medico. Passavano i mesi e lei stava sempre peggio, nonostante le rassicurazioni dello specialista ad ogni visita di controllo.
«Dottore, ci aveva rassicurati che sarebbe stata bene, che non era nulla di preoccupante, e invece lei sta sempre male a letto, con sensazioni di stordimento, e i ragazzi a vederla così sono molto preoccupati, ed io con loro. Non rendono bene nemmeno negli studi! » – disse il marito sottovoce al medico per non farsi sentire dalla moglie.
Vedendo il medico bisbigliare con il marito, la paziente intervenne con fermezza.
«Dottore deve parlare direttamente con me, deciderò io cosa dire e cosa non dire ai miei familiari! Sono io la diretta interessata! Ho tachicardie, svenimenti che prima non avevo, un malessere generale, da non ricordarmi niente, ci vedo sempre meno! Non mi aveva detto questo, forse la terapia che mi ha dato è troppo forte per il mio organismo?»
«È un effetto collaterale della terapia! Purtroppo è il protocollo e dobbiamo rispettarlo se vogliamo che guarisca completamente! Dovete avere pazienza. Signora, lei è già stata miracolata! Ci sono donne che soffrono di più perché soggette a cicli di chemioterapia e anche per i familiari è uno strazio a vederle smagrite e senza capelli! Si rassereni, andrà molto meglio con il passare del tempo e starà decisamente meglio, più di prima!» – rassicurò tutti ancora una volta il medico congedandoli.
Ad un anno dall’operazione, le cose iniziarono ad andare meglio e lei si riprese del tutto. I controlli periodici non segnalarono più nulla di preoccupante. Nel frattempo il medico le allentò un po’ la terapia e lei cominciò a sentirsi nuovamente come prima, piena di vita e felice d’essere arrivata a vedere il diploma e la laurea dei suoi figli. Giunti al decimo anno, quindi uscita ufficialmente dal pericolo di una ricaduta, festeggiò con amici e parenti la rinascita a nuova vita. Dentro di lei era raggiante e durante il brindisi di fine anno gridò:
«Avevo giurato a me stessa che non mi avresti avuta e non mi hai avuta! Ho vinto io! Amiche mie tutte, vincere si può, però come recita il detto: aiutati che Dio ti aiuta!
Dovete lottare da dentro, pregare, avere sempre fede e non abbattervi mai! Anche se sono stata fortunata, come tante altre, ve ne sono altre ancora che non ce l’hanno fatta. Io vi dico combattete, perché la migliore medicina è dire fin dall’inizio: non mi avrai!GettyImages-840818052-kDzE-R5NHBfEYvx6RAKL3bw2h6eL-656x492@Corriere-Web-Sezioni

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Bluff d’azzardo

Bluff d’azzardo
Premessa

Il gioco d’azzardo ha rovinato e continua a rovinare intere famiglie, essendo una droga psicologica. Ci sono quelle leggere, come le comuni sigarette, che molti fumano tanto per sfizio mantenendo il controllo, e che altri invece consumano in quantità elevate non riuscendo a trattenersi. Ci sono poi quelle più pesanti che portano alla tossicodipendenza distruttiva.
Allo stesso modo, ci sono quelli che giocano in modo blando, ogni tanto, e li paragono ai fumatori tanto per… fare scena.
Poi ci sono quelli che giocano sistematicamente solo ad un unico gioco, come il gratta e vinci o il lotto o il totocalcio, che paragono ai fumatori da meno di un pacchetto.
Ancora, quelli poco più assidui che giocano un po’ a tutto, pur sempre moderatamente, come chi si limita a fumare meno di un pacchetto di sigarette al giorno.
Altra categoria è quella degli incalliti, che paragono a coloro che vanno anche oltre i due pacchetti al giorno e stanno sempre in tabaccheria, cioè coloro che giocano a slot machine, gratta e vinci e spendono considerevoli somme di denaro, riuscendo però a non rovinarsi completamente economicamente (anche se alcuni dilapidano quelle poche centinaia di euro della pensione già misera o dell’assegno di disoccupazione).
I veri drogati del gioco sono quelli che, come i tossicodipendenti, non si rendono conto di essere ormai schiavi della loro droga, credendo di poterne uscire quando vogliono, pensando di rifarsi con una sorprendente vincita. E’ anche capitato a qualcuno di loro, grazie ad una buona vincita, d’essere riuscito a risolvere tutto, pagare debiti accumulati per il gioco, e a rifarsi una nuova vita non giocando più, avendo capito d’aver sfidato il destino per troppo tempo, conscio che non gli capiterà più di vincere una mano come quella e ritornare alla vita.
La maggior parte di questi drogati del gioco è composta da coloro che, come i veri tossicodipendenti, dopo aver dissipato il proprio patrimonio e quello della famiglia, si comportano in egual modo, finendo col chiedere soldi ad amici, parenti e conoscenti, cadendo in mano ad usurai, e alla fine a delinquendo, fino a commettere illeciti come truffe, rapine e borseggi.
Il gioco dev’essere e deve restare un piacere, come una sigaretta o un sigaro fumato ogni tanto, o un bicchierino di liquore, assaporato in compagnia.

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Giuseppe era un professionista, un agente di commercio di buona famiglia e benestante. Il suo patrimonio se l’è creato con il proprio lavoro, capacità, professionalità e un pizzico di furbizia e cinismo, tipico di chi professa il commercio in ogni sfumatura come filosofia di vita.
Aveva una bella famiglia, due bambini, una splendida moglie, con la quale viveva in una bellissima tenuta toscana. Non aveva mai avuto la fissazione del gioco e anche a Natale, periodo tipico del tour de force del gioco, declinava molti inviti a chemin de fer o baccarat.
Una sera, il demone del gioco, gli fece cambiare idea, vita e destino. Sarà stata l’aria natalizia, la compagnia, un bicchierino di troppo e soprattutto l’euforia di vincere un bel po’ di soldi. Non molti sanno che seppur essendo invitati a serate con amici, c’è sempre qualcuno che non si comporta veramente da amico, cercando i polli da spennare. E Giuseppe era un bel pollo dalle tante piume pregiate e vaporose.
Accade sempre cosi, per chi non è avvezzo al gioco e si trova a vincere per quasi tutta la serata. Poi l’ambiente goliardico, il far bella figura davanti alla splendida moglie e a tante altre belle donne, alcol a volontà…
Il gioco del destino diventa beffardo, per Giuseppe, facendogli credere  di vincere l’unica mano del bluff d’azzardo della sua vita e sarà tardi quando si renderà conto che il bluff sarà stato lui a subirlo.
La serata passò nel migliore dei modi, ridendo e scherzando, tra un bicchiere e l’altro e tanti, tanti soldi vinti facilmente, troppo facilmente.
Passavano i giorni e con essi il Natale e capodanno, con altrettante vincite corpose, e per Giuseppe era scontato che fosse stata la sua buona stella a farlo vincere cosi tanto da chiudere l’anno in bellezza e aprire il nuovo anno splendidamente.
Trascorse tutte le feste, ritornò alla normalità e al solito ritmo quotidiano lavorativo di sempre. Dopo qualche settimana, uno degli amici con i quali si era seduto al tavolo da gioco, gli telefonò per invitarlo ad una seratina tra amici per un poker. Ovviamente Giuseppe accettò subito ed andò, da solo. La moglie restò a casa con i bambini.
Tipica serata da poker, con il fumo che vagava da un giocatore all’altro, prima di salire verso l’alto, trapassato dalla luce bassa al centro tavolo. Le bottiglie di liquore sul carrello laterale e i bicchieri sempre mezzi vuoti.
All’inizio l’atmosfera era normale, nessun colpo da maestro, né vincite eclatanti. Giuseppe aveva ancora la sua posta più un po’ di vincita, niente di eccezionale. L’unica eccezione stava nella sua capacità di giocatore di poker. Una cosa erano le solite giocate tra amici a baccarat, altra il poker con cui non aveva molta dimestichezza, né tantomeno la malizia del vero giocatore da poker.
«Giuseppe, tocca a te dare le carte! Che ti è successo stasera? Batti la fiacca, sarà la stanchezza del lavoro? Non hai ancora fatto una vincita delle tue! E dire che a Natale hai sbaragliato tutti!» – gli tira una frecciatina Alfonso, che lo aveva invitato a partecipare, telefonandogli.
«A parte la stanchezza, per il lavoro ripreso a pieno ritmo, è da tantissimo che non giocavo a poker e ho accettato solo perché sono un galantuomo e ho ritenuto giusto darvi la possibilità di rifarvi! Anche se dovessi perdere qualche centinaio di euro, avrò sempre di che mangiare e vivere!» – rispose  scherzosamente.
«Bene, faccio cinquecento e desidero due carte!» – disse Alfonso.
«Ci sto, rilancio di altri mille euro e chiedo una carta sola!» – ribattè Riccardo.»
«Io sono servito!» – esclamò serio Alfio!»
«Ok, pure io sono servito! Qui ci sono i miei mille e cinquecento, più rilancio di duemila euro, per vedere!» – replicò Giuseppe.
«Cinquemila euro oltre i tuoi duemila! – disse Alfonso.
«Io passo» – rispose Riccardo.
«Ok ci sto» – replicò Alfio!
«Ci vogliono diecimila euro per venire a vedere le mie carte! – rispose serio Giuseppe, fissando negli occhi i suoi avversari.
Al tavolo calò un gelido silenzio, nonostante il forte calore della lampada alogena. Istanti di silenzio e il tempo di una sigaretta, decisero il periodo della risposta degli altri due. Momenti di tensione, la posta in gioco si era fatta interessante. Ancora era un terzo di ciò che aveva vinto Giuseppe a Natale e Alfonso aveva perso circa quella cifra in quelle serate di feste natalizie.
«Vedo: poker d’assi! – gettò giù le carte Giuseppe!
«Non basta» – ribatté Riccardo.
«Scala all’asso di cuori!» – esultò Alfio!
«Ragazzi mi dispiace per voi, non basta nemmeno il vostro gioco, scala reale di picche! Scusate se non è di quadri o di cuori, tuttavia è sufficiente a battere le vostre carte!» – chiuse Alfonso.
«Bravo, complimenti, sono contento per te, che ti sei rifatto! Adesso devo andare ragazzi, si è fatto tardi e le bambine mi staranno aspettando, compresa la bambina più grande, mia moglie, con il mattarello davanti la porta! – insisté Giuseppe, per nulla contrariato d’aver perso parte del sua vincita natalizia.
«Noo, dai adesso che si è riscaldata l’atmosfera? Non è tardi, è appena mezzanotte, ancora qualche altra mano e poi tutti a nanna!»
«Daii!» – replicò Riccardo che ancora, doveva recuperare molto.
«D’accordo, solo un giro e basta, altrimenti vi riterrò responsabili del mio divorzio, se tornerò troppo tardi a casa! Sta iniziando a nevicare e mia moglie si preoccuperà! – rispose Giuseppe.
Gli ultimi tre giri, non ebbero grossi scossoni di rilanci e di gioco. Quando toccò dare le carte nuovamente a Giuseppe, ultimo del giro, accadde dell’altro.
«Tre carte, metto duemila euro nel piatto, e sono servito!» – disse nuovamente Alfonso.
«Ok va bene, eccoli qua e datemi sempre le mie due solite carte!» -replicò Riccardo.
«Io passo, non ho nulla!» – intervenne Alfio.
«Ok eccovi le mie e mi prendo una sola carta!» – ribatté Giuseppe.
«Ok allora, ragazzi iniziamo le danze, diecimila per iniziare per chi vuole vedere!» – disse Alfonso.
«Caspita, diecimila? E lo dici cosi? Devo pensarci» – rispose Riccardo, mentre Giuseppe e Alfonso si fissavano negli occhi e fissavano a Riccardo che doveva dire la sua.
«Allora Riccardo, muoviti, si è fatto tardi e io devo andare! Dentro o fuori!» – replicò Giuseppe.
«Ok passo, vedetevela tra voi due! È già tanto che torni con i miei soldi a casa!» – rispose Riccardo.
«Ok,  allora devi mettercene altri quarantamila nel piatto per vedere il mio gioco!» – esclamò serio Giuseppe, fissandolo negli occhi, mentre metteva un assegno da cinquantamila sul piatto.
«Ok, eccoli qua, voglio vedere il tuo bluff! Replicò Alfonso.»
«Scala reale di quadri. Questa volta, ritorna tutto da me! La mia buona stella ha concluso alla grande la serata! Dovresti avere una scala reale di cuori per battermi! – ribadì Giuseppe sorridente, mentre allungava la mano sul piatto.
La mano di Alfonso la bloccò bruscamente.
«Aspetta ragazzo, il gioco ancora non è finito, eccoti accontentato: scala reale all’asso di cuori ! Mi dispiace per te, ma stasera la tua buona stella si sarà distratta per la stanchezza forse! Ti rifarai la prossima volta, verrai  venerdì prossimo, vero? Ti aspettiamo!» – gli disse con un sorriso beffardo, da belva feroce pronta a balzare sulla preda indifesa.
Già, perché le tre iene avevano già capito che Giuseppe non era per nulla bravo a poker specialmente non era un giocatore di poker. Ogni sua espressione era un libro aperto, ad ogni carta o gioco che gli entrava, e loro da bravi esperti sapevano cogliere ogni mimica del viso e capire tutto. Se Giuseppe avesse giocato a carte scoperte sul tavolo, sarebbe stata la stessa identica cosa.
Trascorsero tanti venerdì e per Giuseppe furono uno peggio dell’altro. Oltretutto anche il suo matrimonio, messo sul piatto del gioco, cominciò a perdere colpi su colpi, fino a giungere alla separazione. La sua situazione stava degradando sempre più, anche quella lavorativa ed economica, non avendo più la giusta lucidità: villa ipotecata, ingiunzioni di pagamento da parte di creditori e la porta della banca sempre più chiusa, poiché non era più un cliente affidato. La voce del suo vizio si era sparsa a macchia d’olio.
Giuseppe era disperato sempre più. I suoi amici più fidati, dopo averlo consigliato per il meglio cercando di convincerlo a lasciar perdere il gioco, erano scomparsi tutti. Ormai era solo e gli usurai stavano per metterlo alle corde con pesanti minacce.
Decise di vendere ciò che gli era rimasto e partì per il casinò di Montecarlo. Era l’ultima carta: se fosse andata male, si sarebbe suicidato, aveva meditato dentro di sé.
L’inizio fu confortante. Vinse alcune mani alle slot e alla roulette. Quel migliaio di euro in più vinti, per lui fu il segnale della buona sorte, che l’avrebbe aiutato ad uscire dalla sua catastrofica quanto drammatica situazione da ultima spiaggia.
Dopo aver vinto anche altre migliaia di euro allo chemin de fer, dove lui era bravo, chiese di sedersi ad un tavolo di poker, da dove si era appena alzato un tizio con aria soddisfatta. Pensò che quello poteva essere il tavolo giusto per rifarsi.
Dopo aver vinto alcuni giri, poche centinaia di euro, provò ad alzare il tiro aumentando i rilanci. Però quella decisione non fu geniale: ricominciò a perdere nuovamente  molto denaro e si rialzò prima che gli finisse del tutto. Non si accorse che un tizio lo aveva osservato da lontano per tutto il tempo con un piccolo ma potente cannocchiale tascabile da teatro, fin da quando si era seduto nuovamente alla roulette e poi al tavolo dello chemin de fer. Lo seguì anche dopo, quando andò in bagno, e mentre Giuseppe si lavava le mani, l’accostò e attaccò bottone.
«Buon giorno, il mio nome è Jack Russel per gli amici! Sì, è una razza canina, pazienza! Scherzo è un soprannome, tutti mi chiamano cosi perché osservo tutti e mi piace aiutare chi si trova in difficoltà e tu lo sei, e pure molto, da come giochi! Anzi il poker non è il tuo pezzo forte, ho notato! Tutti capiscono che gioco hai in mano ecco perché perdi! All’inizio ti fanno vincere per poi spennarti! Adesso li spenneremo noi e tu recupererai tutto ciò che hai perso ad oggi!» – gli disse senza dargli il tempo di controbattere.
«Piacere, Giuseppe. Per sapere tutte queste cose di me, è da un po’ che mi osservi! Il mio problema comunque non è nato qui al casinò, ma in un semplice tavolo tra amici, il venerdì sera! Però poi è andato tutto peggio e quelli non si sono dimostrati gli amici che credevo, ma veri avvoltoi! Se non riesco a recuperare qui, poi mi suicido e giuro che lo farò, quindi è inutile che tu faccia l’Angelo salvatore!» – rispose Giuseppe.
«Dai, non fare il drammatico, la tua buona sorte è sempre vigile su di te e te ne accorgerai subito! Però devi seguire ogni mia parola, senza prendere iniziativa e cercare di trattenere le emozioni di gioia o di paura! So di te, perché sei uguale a tanti altri che ho salvato dal baratro! Tutti inguaiati, con usurai banche e patrimoni dilapidati al gioco! Mettiti questi dentro gli orecchi, non se ne accorgerà nessuno ed io ti seguirò passo passo da lontano, riuscendo a vedere pure le carte che avrai in mano! Cerca di fare la faccia apatica, immobile, è fondamentale che nessuno capisca il tuo gioco, e non parlare se non il minimo indispensabile!» – gli disse con tono serio e fermo Jack.
Rientrati nella sala da gioco, Giuseppe si posizionò al tavolo con un cenno di sorriso da ebete.
Inizia la divisione delle carte.
Gli altri fanno il loro primo rilancio e richiesta di carte. Inizia il ballo dei rilanci: mille, cinquemila, diecimila euro.
Jack dice subito di rilanciare per tre. Giuseppe ubbidisce e dice: trentamila.
Scoprono le carte e vince la prima mano. La seconda e terza mano passa, perdendo solo il primo basso rilancio al cambio delle carte. Al quarto giro, Jack ordina a Giuseppe di iniziare il primo rilancio con una forte somma: cinquemila euro.
Solo in due accettano e chiedono rispettivamente due carte e una carta. Jack gli ordina di darsi servito, anche se non ha niente in mano. A Giuseppe è mancata pure la voce di pronunciare quella parola e due goccioline di sudore gli scendono dalla fronte.
A quel punto aspetta chi è di mano e la sua decisione non si fa attendere molto: fa un grosso rilancio di venticinquemila euro mentre l’altro accetta e rilancia il doppio. Jack gli ordina di rilanciare di centocinquantamila euro e Giuseppe nota negli sguardi degli altri un improvviso smarrimento che lo conforta: gettano le carte e non vanno a vedere il suo gioco.
Giuseppe incassa con soddisfazione i primi centodiecimila euro.
Dopo altre mani, passate senza tante glorie, ecco che si presenta una mano più che interessante.
Giuseppe dà le carte, e nelle sue legge un inizio di scala reale di quadri all’asso. Jack gli ordina di vedere solo il primo rilancio che è di diecimila euro, senza aggiungere altro, e attendere il cambio delle carte.
Jack scruta attentamente l’espressione di tutti e da lì capisce il gioco che hanno in mano. Poi osserva l’unica carta che Giuseppe ha fatto uscire dal suo mazzo e la spizzica pian piano, fino a vedere il sospirato dieci di quadri che completa la scala reale.
Chi ha fatto il primo lancio di diecimila euro mette sul piatto un assegno di trentamila euro; un altro passa e un terzo rilancia fino a cinquantamila.
Jack medita un po’ e ordina di vedere solamente con i cinquantamila. Chi aveva rilanciato per primo a trentamila euro, rilancia fino a settantacinquemila.
Jack attende la decisione del terzo. Tuttavia, essendo già in ballo, prova il bluff e rilancia per tre volte.
La gente intanto, sentendo questi rilanci, s’incuriosisce e circonda in silenzio il tavolo per assistere alla partita.
Sul piatto navigano già assegni per trecentomila euro e a quel punto Jack tira stangata finale ordinando di puntare fino a cinquecentomila euro.
Un piatto da oltre un milione e mezzo di euro era raro vederlo sul tavolo di quel casinò. Ed era troppo allettante per lasciarselo scappare; oltretutto ormai i giocatori avevano già messo sul piatto delle grosse somme.
Arrivò il momento di scoprire le carte.
Sul tavolo c’era il fior fiore del gioco: un poker d’assi, una scala reale di cuori e una scala reale all’asso di quadri che superava la scala reale di cuori non all’asso.
Un coro di stupore e Giuseppe non riusciva a credere di aver vinto quella grossa somma, che gli avrebbe permesso di pagare i debiti, riacquistare la sua villa e, soprattutto, riavere la sua famiglia.
Giurò che non avrebbe più toccato una carta in vita sua.
Gli altri giocatori si complimentarono con lui tranne uno, che stava per defilarsi. Era un noto baro e professionista che girava tutti i casinò in cerca di polli da spennare.
Jack appena lo vide si dichiarò:
«Fermi tutti FBI, che nessuno si muova.»
Nel vedere allontanarsi quel soggetto ordinò ai suoi di circondare il casinò e bloccare ogni uscita.
Si scoprì che alcuni croupier erano in combutta con alcuni truffatori professionisti e furono arrestati.
Altri furono colti in fragranza di reato mentre raggiravano le persone alla roulette e ad altri tavoli di gioco.
Tutto avveniva nell’inconsapevolezza della direzione, che denunciò i malfattori per danni e cercò di riparare al meglio con i migliori e assidui clienti.
Giuseppe rientrò a casa e sistemò ogni cosa e ritornò felice con la sua famiglia.

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