Bluff d’azzardo
Premessa
Il gioco d’azzardo ha rovinato e continua a rovinare intere famiglie, essendo una droga psicologica. Ci sono quelle leggere, come le comuni sigarette, che molti fumano tanto per sfizio mantenendo il controllo, e che altri invece consumano in quantità elevate non riuscendo a trattenersi. Ci sono poi quelle più pesanti che portano alla tossicodipendenza distruttiva.
Allo stesso modo, ci sono quelli che giocano in modo blando, ogni tanto, e li paragono ai fumatori tanto per… fare scena.
Poi ci sono quelli che giocano sistematicamente solo ad un unico gioco, come il gratta e vinci o il lotto o il totocalcio, che paragono ai fumatori da meno di un pacchetto.
Ancora, quelli poco più assidui che giocano un po’ a tutto, pur sempre moderatamente, come chi si limita a fumare meno di un pacchetto di sigarette al giorno.
Altra categoria è quella degli incalliti, che paragono a coloro che vanno anche oltre i due pacchetti al giorno e stanno sempre in tabaccheria, cioè coloro che giocano a slot machine, gratta e vinci e spendono considerevoli somme di denaro, riuscendo però a non rovinarsi completamente economicamente (anche se alcuni dilapidano quelle poche centinaia di euro della pensione già misera o dell’assegno di disoccupazione).
I veri drogati del gioco sono quelli che, come i tossicodipendenti, non si rendono conto di essere ormai schiavi della loro droga, credendo di poterne uscire quando vogliono, pensando di rifarsi con una sorprendente vincita. E’ anche capitato a qualcuno di loro, grazie ad una buona vincita, d’essere riuscito a risolvere tutto, pagare debiti accumulati per il gioco, e a rifarsi una nuova vita non giocando più, avendo capito d’aver sfidato il destino per troppo tempo, conscio che non gli capiterà più di vincere una mano come quella e ritornare alla vita.
La maggior parte di questi drogati del gioco è composta da coloro che, come i veri tossicodipendenti, dopo aver dissipato il proprio patrimonio e quello della famiglia, si comportano in egual modo, finendo col chiedere soldi ad amici, parenti e conoscenti, cadendo in mano ad usurai, e alla fine a delinquendo, fino a commettere illeciti come truffe, rapine e borseggi.
Il gioco dev’essere e deve restare un piacere, come una sigaretta o un sigaro fumato ogni tanto, o un bicchierino di liquore, assaporato in compagnia.
——————
Giuseppe era un professionista, un agente di commercio di buona famiglia e benestante. Il suo patrimonio se l’è creato con il proprio lavoro, capacità, professionalità e un pizzico di furbizia e cinismo, tipico di chi professa il commercio in ogni sfumatura come filosofia di vita.
Aveva una bella famiglia, due bambini, una splendida moglie, con la quale viveva in una bellissima tenuta toscana. Non aveva mai avuto la fissazione del gioco e anche a Natale, periodo tipico del tour de force del gioco, declinava molti inviti a chemin de fer o baccarat.
Una sera, il demone del gioco, gli fece cambiare idea, vita e destino. Sarà stata l’aria natalizia, la compagnia, un bicchierino di troppo e soprattutto l’euforia di vincere un bel po’ di soldi. Non molti sanno che seppur essendo invitati a serate con amici, c’è sempre qualcuno che non si comporta veramente da amico, cercando i polli da spennare. E Giuseppe era un bel pollo dalle tante piume pregiate e vaporose.
Accade sempre cosi, per chi non è avvezzo al gioco e si trova a vincere per quasi tutta la serata. Poi l’ambiente goliardico, il far bella figura davanti alla splendida moglie e a tante altre belle donne, alcol a volontà…
Il gioco del destino diventa beffardo, per Giuseppe, facendogli credere di vincere l’unica mano del bluff d’azzardo della sua vita e sarà tardi quando si renderà conto che il bluff sarà stato lui a subirlo.
La serata passò nel migliore dei modi, ridendo e scherzando, tra un bicchiere e l’altro e tanti, tanti soldi vinti facilmente, troppo facilmente.
Passavano i giorni e con essi il Natale e capodanno, con altrettante vincite corpose, e per Giuseppe era scontato che fosse stata la sua buona stella a farlo vincere cosi tanto da chiudere l’anno in bellezza e aprire il nuovo anno splendidamente.
Trascorse tutte le feste, ritornò alla normalità e al solito ritmo quotidiano lavorativo di sempre. Dopo qualche settimana, uno degli amici con i quali si era seduto al tavolo da gioco, gli telefonò per invitarlo ad una seratina tra amici per un poker. Ovviamente Giuseppe accettò subito ed andò, da solo. La moglie restò a casa con i bambini.
Tipica serata da poker, con il fumo che vagava da un giocatore all’altro, prima di salire verso l’alto, trapassato dalla luce bassa al centro tavolo. Le bottiglie di liquore sul carrello laterale e i bicchieri sempre mezzi vuoti.
All’inizio l’atmosfera era normale, nessun colpo da maestro, né vincite eclatanti. Giuseppe aveva ancora la sua posta più un po’ di vincita, niente di eccezionale. L’unica eccezione stava nella sua capacità di giocatore di poker. Una cosa erano le solite giocate tra amici a baccarat, altra il poker con cui non aveva molta dimestichezza, né tantomeno la malizia del vero giocatore da poker.
«Giuseppe, tocca a te dare le carte! Che ti è successo stasera? Batti la fiacca, sarà la stanchezza del lavoro? Non hai ancora fatto una vincita delle tue! E dire che a Natale hai sbaragliato tutti!» – gli tira una frecciatina Alfonso, che lo aveva invitato a partecipare, telefonandogli.
«A parte la stanchezza, per il lavoro ripreso a pieno ritmo, è da tantissimo che non giocavo a poker e ho accettato solo perché sono un galantuomo e ho ritenuto giusto darvi la possibilità di rifarvi! Anche se dovessi perdere qualche centinaio di euro, avrò sempre di che mangiare e vivere!» – rispose scherzosamente.
«Bene, faccio cinquecento e desidero due carte!» – disse Alfonso.
«Ci sto, rilancio di altri mille euro e chiedo una carta sola!» – ribattè Riccardo.»
«Io sono servito!» – esclamò serio Alfio!»
«Ok, pure io sono servito! Qui ci sono i miei mille e cinquecento, più rilancio di duemila euro, per vedere!» – replicò Giuseppe.
«Cinquemila euro oltre i tuoi duemila! – disse Alfonso.
«Io passo» – rispose Riccardo.
«Ok ci sto» – replicò Alfio!
«Ci vogliono diecimila euro per venire a vedere le mie carte! – rispose serio Giuseppe, fissando negli occhi i suoi avversari.
Al tavolo calò un gelido silenzio, nonostante il forte calore della lampada alogena. Istanti di silenzio e il tempo di una sigaretta, decisero il periodo della risposta degli altri due. Momenti di tensione, la posta in gioco si era fatta interessante. Ancora era un terzo di ciò che aveva vinto Giuseppe a Natale e Alfonso aveva perso circa quella cifra in quelle serate di feste natalizie.
«Vedo: poker d’assi! – gettò giù le carte Giuseppe!
«Non basta» – ribatté Riccardo.
«Scala all’asso di cuori!» – esultò Alfio!
«Ragazzi mi dispiace per voi, non basta nemmeno il vostro gioco, scala reale di picche! Scusate se non è di quadri o di cuori, tuttavia è sufficiente a battere le vostre carte!» – chiuse Alfonso.
«Bravo, complimenti, sono contento per te, che ti sei rifatto! Adesso devo andare ragazzi, si è fatto tardi e le bambine mi staranno aspettando, compresa la bambina più grande, mia moglie, con il mattarello davanti la porta! – insisté Giuseppe, per nulla contrariato d’aver perso parte del sua vincita natalizia.
«Noo, dai adesso che si è riscaldata l’atmosfera? Non è tardi, è appena mezzanotte, ancora qualche altra mano e poi tutti a nanna!»
«Daii!» – replicò Riccardo che ancora, doveva recuperare molto.
«D’accordo, solo un giro e basta, altrimenti vi riterrò responsabili del mio divorzio, se tornerò troppo tardi a casa! Sta iniziando a nevicare e mia moglie si preoccuperà! – rispose Giuseppe.
Gli ultimi tre giri, non ebbero grossi scossoni di rilanci e di gioco. Quando toccò dare le carte nuovamente a Giuseppe, ultimo del giro, accadde dell’altro.
«Tre carte, metto duemila euro nel piatto, e sono servito!» – disse nuovamente Alfonso.
«Ok va bene, eccoli qua e datemi sempre le mie due solite carte!» -replicò Riccardo.
«Io passo, non ho nulla!» – intervenne Alfio.
«Ok eccovi le mie e mi prendo una sola carta!» – ribatté Giuseppe.
«Ok allora, ragazzi iniziamo le danze, diecimila per iniziare per chi vuole vedere!» – disse Alfonso.
«Caspita, diecimila? E lo dici cosi? Devo pensarci» – rispose Riccardo, mentre Giuseppe e Alfonso si fissavano negli occhi e fissavano a Riccardo che doveva dire la sua.
«Allora Riccardo, muoviti, si è fatto tardi e io devo andare! Dentro o fuori!» – replicò Giuseppe.
«Ok passo, vedetevela tra voi due! È già tanto che torni con i miei soldi a casa!» – rispose Riccardo.
«Ok, allora devi mettercene altri quarantamila nel piatto per vedere il mio gioco!» – esclamò serio Giuseppe, fissandolo negli occhi, mentre metteva un assegno da cinquantamila sul piatto.
«Ok, eccoli qua, voglio vedere il tuo bluff! Replicò Alfonso.»
«Scala reale di quadri. Questa volta, ritorna tutto da me! La mia buona stella ha concluso alla grande la serata! Dovresti avere una scala reale di cuori per battermi! – ribadì Giuseppe sorridente, mentre allungava la mano sul piatto.
La mano di Alfonso la bloccò bruscamente.
«Aspetta ragazzo, il gioco ancora non è finito, eccoti accontentato: scala reale all’asso di cuori ! Mi dispiace per te, ma stasera la tua buona stella si sarà distratta per la stanchezza forse! Ti rifarai la prossima volta, verrai venerdì prossimo, vero? Ti aspettiamo!» – gli disse con un sorriso beffardo, da belva feroce pronta a balzare sulla preda indifesa.
Già, perché le tre iene avevano già capito che Giuseppe non era per nulla bravo a poker specialmente non era un giocatore di poker. Ogni sua espressione era un libro aperto, ad ogni carta o gioco che gli entrava, e loro da bravi esperti sapevano cogliere ogni mimica del viso e capire tutto. Se Giuseppe avesse giocato a carte scoperte sul tavolo, sarebbe stata la stessa identica cosa.
Trascorsero tanti venerdì e per Giuseppe furono uno peggio dell’altro. Oltretutto anche il suo matrimonio, messo sul piatto del gioco, cominciò a perdere colpi su colpi, fino a giungere alla separazione. La sua situazione stava degradando sempre più, anche quella lavorativa ed economica, non avendo più la giusta lucidità: villa ipotecata, ingiunzioni di pagamento da parte di creditori e la porta della banca sempre più chiusa, poiché non era più un cliente affidato. La voce del suo vizio si era sparsa a macchia d’olio.
Giuseppe era disperato sempre più. I suoi amici più fidati, dopo averlo consigliato per il meglio cercando di convincerlo a lasciar perdere il gioco, erano scomparsi tutti. Ormai era solo e gli usurai stavano per metterlo alle corde con pesanti minacce.
Decise di vendere ciò che gli era rimasto e partì per il casinò di Montecarlo. Era l’ultima carta: se fosse andata male, si sarebbe suicidato, aveva meditato dentro di sé.
L’inizio fu confortante. Vinse alcune mani alle slot e alla roulette. Quel migliaio di euro in più vinti, per lui fu il segnale della buona sorte, che l’avrebbe aiutato ad uscire dalla sua catastrofica quanto drammatica situazione da ultima spiaggia.
Dopo aver vinto anche altre migliaia di euro allo chemin de fer, dove lui era bravo, chiese di sedersi ad un tavolo di poker, da dove si era appena alzato un tizio con aria soddisfatta. Pensò che quello poteva essere il tavolo giusto per rifarsi.
Dopo aver vinto alcuni giri, poche centinaia di euro, provò ad alzare il tiro aumentando i rilanci. Però quella decisione non fu geniale: ricominciò a perdere nuovamente molto denaro e si rialzò prima che gli finisse del tutto. Non si accorse che un tizio lo aveva osservato da lontano per tutto il tempo con un piccolo ma potente cannocchiale tascabile da teatro, fin da quando si era seduto nuovamente alla roulette e poi al tavolo dello chemin de fer. Lo seguì anche dopo, quando andò in bagno, e mentre Giuseppe si lavava le mani, l’accostò e attaccò bottone.
«Buon giorno, il mio nome è Jack Russel per gli amici! Sì, è una razza canina, pazienza! Scherzo è un soprannome, tutti mi chiamano cosi perché osservo tutti e mi piace aiutare chi si trova in difficoltà e tu lo sei, e pure molto, da come giochi! Anzi il poker non è il tuo pezzo forte, ho notato! Tutti capiscono che gioco hai in mano ecco perché perdi! All’inizio ti fanno vincere per poi spennarti! Adesso li spenneremo noi e tu recupererai tutto ciò che hai perso ad oggi!» – gli disse senza dargli il tempo di controbattere.
«Piacere, Giuseppe. Per sapere tutte queste cose di me, è da un po’ che mi osservi! Il mio problema comunque non è nato qui al casinò, ma in un semplice tavolo tra amici, il venerdì sera! Però poi è andato tutto peggio e quelli non si sono dimostrati gli amici che credevo, ma veri avvoltoi! Se non riesco a recuperare qui, poi mi suicido e giuro che lo farò, quindi è inutile che tu faccia l’Angelo salvatore!» – rispose Giuseppe.
«Dai, non fare il drammatico, la tua buona sorte è sempre vigile su di te e te ne accorgerai subito! Però devi seguire ogni mia parola, senza prendere iniziativa e cercare di trattenere le emozioni di gioia o di paura! So di te, perché sei uguale a tanti altri che ho salvato dal baratro! Tutti inguaiati, con usurai banche e patrimoni dilapidati al gioco! Mettiti questi dentro gli orecchi, non se ne accorgerà nessuno ed io ti seguirò passo passo da lontano, riuscendo a vedere pure le carte che avrai in mano! Cerca di fare la faccia apatica, immobile, è fondamentale che nessuno capisca il tuo gioco, e non parlare se non il minimo indispensabile!» – gli disse con tono serio e fermo Jack.
Rientrati nella sala da gioco, Giuseppe si posizionò al tavolo con un cenno di sorriso da ebete.
Inizia la divisione delle carte.
Gli altri fanno il loro primo rilancio e richiesta di carte. Inizia il ballo dei rilanci: mille, cinquemila, diecimila euro.
Jack dice subito di rilanciare per tre. Giuseppe ubbidisce e dice: trentamila.
Scoprono le carte e vince la prima mano. La seconda e terza mano passa, perdendo solo il primo basso rilancio al cambio delle carte. Al quarto giro, Jack ordina a Giuseppe di iniziare il primo rilancio con una forte somma: cinquemila euro.
Solo in due accettano e chiedono rispettivamente due carte e una carta. Jack gli ordina di darsi servito, anche se non ha niente in mano. A Giuseppe è mancata pure la voce di pronunciare quella parola e due goccioline di sudore gli scendono dalla fronte.
A quel punto aspetta chi è di mano e la sua decisione non si fa attendere molto: fa un grosso rilancio di venticinquemila euro mentre l’altro accetta e rilancia il doppio. Jack gli ordina di rilanciare di centocinquantamila euro e Giuseppe nota negli sguardi degli altri un improvviso smarrimento che lo conforta: gettano le carte e non vanno a vedere il suo gioco.
Giuseppe incassa con soddisfazione i primi centodiecimila euro.
Dopo altre mani, passate senza tante glorie, ecco che si presenta una mano più che interessante.
Giuseppe dà le carte, e nelle sue legge un inizio di scala reale di quadri all’asso. Jack gli ordina di vedere solo il primo rilancio che è di diecimila euro, senza aggiungere altro, e attendere il cambio delle carte.
Jack scruta attentamente l’espressione di tutti e da lì capisce il gioco che hanno in mano. Poi osserva l’unica carta che Giuseppe ha fatto uscire dal suo mazzo e la spizzica pian piano, fino a vedere il sospirato dieci di quadri che completa la scala reale.
Chi ha fatto il primo lancio di diecimila euro mette sul piatto un assegno di trentamila euro; un altro passa e un terzo rilancia fino a cinquantamila.
Jack medita un po’ e ordina di vedere solamente con i cinquantamila. Chi aveva rilanciato per primo a trentamila euro, rilancia fino a settantacinquemila.
Jack attende la decisione del terzo. Tuttavia, essendo già in ballo, prova il bluff e rilancia per tre volte.
La gente intanto, sentendo questi rilanci, s’incuriosisce e circonda in silenzio il tavolo per assistere alla partita.
Sul piatto navigano già assegni per trecentomila euro e a quel punto Jack tira stangata finale ordinando di puntare fino a cinquecentomila euro.
Un piatto da oltre un milione e mezzo di euro era raro vederlo sul tavolo di quel casinò. Ed era troppo allettante per lasciarselo scappare; oltretutto ormai i giocatori avevano già messo sul piatto delle grosse somme.
Arrivò il momento di scoprire le carte.
Sul tavolo c’era il fior fiore del gioco: un poker d’assi, una scala reale di cuori e una scala reale all’asso di quadri che superava la scala reale di cuori non all’asso.
Un coro di stupore e Giuseppe non riusciva a credere di aver vinto quella grossa somma, che gli avrebbe permesso di pagare i debiti, riacquistare la sua villa e, soprattutto, riavere la sua famiglia.
Giurò che non avrebbe più toccato una carta in vita sua.
Gli altri giocatori si complimentarono con lui tranne uno, che stava per defilarsi. Era un noto baro e professionista che girava tutti i casinò in cerca di polli da spennare.
Jack appena lo vide si dichiarò:
«Fermi tutti FBI, che nessuno si muova.»
Nel vedere allontanarsi quel soggetto ordinò ai suoi di circondare il casinò e bloccare ogni uscita.
Si scoprì che alcuni croupier erano in combutta con alcuni truffatori professionisti e furono arrestati.
Altri furono colti in fragranza di reato mentre raggiravano le persone alla roulette e ad altri tavoli di gioco.
Tutto avveniva nell’inconsapevolezza della direzione, che denunciò i malfattori per danni e cercò di riparare al meglio con i migliori e assidui clienti.
Giuseppe rientrò a casa e sistemò ogni cosa e ritornò felice con la sua famiglia.
Excited gambling man throwing playing cards on a game table in a casino. Gambling, playing cards and roulette. AQ QQ